giovedì 18 gennaio 2018

Il sarto di Gloucester








Beatrix Potter (1866 –1943) è considerata la più famosa autrice e illustratrice di libri per bambini del secolo scorso. Le storie di Peter Coniglio e dei suoi amici sono state tradotte in moltissime lingue, tra cui perfino il latino, e ristampate più di cento volte nell'arco degli ottanta anni circa trascorsi dalla prima pubblicazione.
Il Sarto di Gloucester” (TheTailor of Gloucester) era, tra quelli da lei scritti, il libro che preferiva. Ascoltò per la prima volta la storia vera su cui il racconto si basa, durante una visita a sua cugina, Caroline Hutton, la quale viveva proprio nelle vicinanze di Gloucester.
Il racconto si ispira ad una vicenda accaduta davvero ad un sarto che, lasciato il lavoro incompiuto il venerdì, lo aveva poi trovato pronto il lunedì a parte un’asola su cui era stato appuntato un bigliettino con la scritta 'è finito il filo.'
Il sarto cercò di sfruttare la vicenda per fare pubblicità al suo negozio, dove gli abiti 'erano cuciti dalle fate.' Nella realtà il lavoro era stato completato dai suoi aiutanti. 
Per Beatrix Potter, che amava tanto gli animali da farne gli eroi delle sue fiabe, fu naturale sostituire le fate con 'topolini marroni,' e immaginare che nella vigilia di Natale agli animali venisse concesso di poter parlare e che i topolini cucissero al ritmo di allegre filastrocche appartenenti al folklore inglese.
La fiaba fu scritta nel 1901, come strenna natalizia per la piccola Freda, la figlia della sua governante Annie Carter, e poi pubblicato nel 1903, arricchita da splendide illustrazioni nel tipico stile della Potter.
 

Curisità:
Oggi la casa del sarto è diventata un museo dedicato a Beatrix Potter, dove è possibile acquistare souvenir ispirati ai suoi personaggi.





Il sarto di Gloucester

di

BEATRIX POTTER

Autrice de "Il racconto di Peter Rconiglio," etc
1903


M’accollerò, costi quello che costi,
la spesa d’uno specchio.
(Riccardo III, atto 1, scena 2)









Cara Freda,
siccome adori le fiabe e sei stata male, ne ho scritta una solo per te – una storia nuova che nessuno ha mai letto.
E la cosa più strana è che l'ho ascoltata nel Gloucesteshire, ed è vera, almeno per quel che riguarda il sarto, il panciotto ed
E' finito il filo”
Natale, 1901







Al tempo delle spade e delle parrucche e delle lunghe giacche dai grandi risvolti fiorati - quando gli uomini indossavano gale e panciotti di seta e taffettà orlati di pizzo dorato – nella città di Gloucester viveva un sarto.
Dalle prime luci dell'alba fino a sera sedeva a gambe incrociate su di un tavolo vicino alla finestra di un negozietto a Westgate street.
E finché c'era luce, cuciva e tagliava tutto il giorno, mettendo insieme i pezzi di lucida seta e broccato e pompadour; le stoffe avevano strani nomi, e costavano tanto ai tempi del sarto di Gloucester.

Ma sebbene cucisse la seta più fine per i suoi concittadini, lui invece era tanto, tanto povero – un ometto occhialuto, con il viso sparuto, vecchie dita rattrappite, e poveri abiti logori.
Tagliava le giacche senza sprecare niente, seguendo il disegno dei suoi tessuti ricamati; gli avanzi erano ridotti al minimo e i ritagli sparsi sul tavolo erano “Troppo piccoli per farci qualcosa, se non panciotti per i topi,” diceva il sarto.

In una gelida giornata prossima al Natale, il sarto iniziò a confezionare una giacca – una giacca di seta damascata color ciliegia con rose e viole, e un panciotto di seta color crema, orlato di trine e ciniglia di lana verde – per il sindaco di Gloucester.
Il sarto lavorava e lavorava, e intanto parlava tra sé e sé. Misurò la seta, la girò e la rigirò e la modellò con le forbici; il tavolo era ricoperto di ritagli color ciliegia.
Sono troppo piccoli, in più sono tagliati di sbieco; sono troppo piccoli; mantelline per topi e nastri per cuffie! per topi!” disse il sarto di Gloucester.
Quando i fiocchi di neve ebbero ricoperto i vetri della finestra impedendo alla luce di entrare, il sarto aveva ormai terminato la sua giornata di lavoro e i pezzi di seta e di raso che aveva tagliato ricoprivano tutto il tavolo.
C'erano dodici pezzi per la giacca e quattro pezzi per il panciotto, c'erano poi i risvolti delle tasche e dei polsini, e i bottoni tutti in fila. Per la fodera della giacca c'era del bel taffetà di seta gialla, e per le asole del panciotto, c'era del filo color ciliegia. E tutto era pronto per cucire insieme i pezzi il giorno seguente, tutto misurato e sufficiente - eccetto il fatto che mancava un solo gomitolo di filo di seta color ciliegia.
Il sarto uscì dal suo negozio che era sera, di notte non dormiva lì; chiuse la finestra e serrò la porta e portò via la chiave. Lì dentro non ci dormiva nessuno di notte se non topolini color marrone che per entrare ed uscire non avevano bisogno della chiave.

Perché dietro i pannelli di legno di tutte le vecchie case di Gloucester, ci sono piccole scale per topi e piccole botole segrete, e i topi corrono di casa in casa dentro questi lunghi e stretti passaggi, così possono attraversare tutta la città senza andare per strada.
Ma il sarto uscì dal suo negozio e si trascinò stancamente verso casa sotto la neve. Viveva nei pressi di College Court, vicino all'arco che conduce a College Green, e sebbene la casa non fosse grande, il sarto era così povero che aveva affittato solo la cucina.


Viveva da solo con il suo gatto, si chiamava Simpkin.
Dovete sapere che durante il giorno, quando il sarto era a lavoro, Simpkin aveva la casa tutta per sé; anche a lui piacevano i topi, ma non gli regalava pezzi di seta per i loro cappotti!

Miao?” disse il gatto quando il sarto aprì la porta. “Miao?”
Il sarto rispose, “Simpkin, stiamo per fare la nostra fortuna, ma mi sento uno straccio. Prendi questa moneta da quattro soldi (che oggi noi chiamiamo quattropence) e Simpkin, porta con te una brocca di porcellana; compra un soldo di pane, un soldo di latte e un soldo di salsicce. E oh, Simpkin, con l'ultimo soldo comprami del filo di seta color ciliegia. Ma non perdere l'ultimo soldo del quattropence, Simpkin, o sono rovinato e ridotto al lumicino, perché E' FINITO IL FILO.”
Allora Simpkin ripetè, “Miao?” e prese la brocca e il quattropence e uscì nel buio.
Il sarto era molto stanco e iniziava a star male. Si sedette accanto al focolare e parlò tra sé e sé di quella splendida giacca.
Farò la mia fortuna – senza dubbio – il sindaco di Gloucester si sposerà il giorno di Natale, e ha ordinato una giacca ed un panciotto ricamato - foderato di taffettà giallo – e il taffettà è più che sufficiente; e i ritagli di stoffa sono così piccoli che ci puoi fare solo mantelline per topi...”
A questo punto il sarto trasalì, perché improvvisamente, ad interrompere il suo discorso, erano arrivati degli strani rumorini dalla credenza dall'altra parte della cucina…
Tip tap, tip tap, tip tap tip!
Cosa può essere?” disse il sarto di Gloucester alzandosi di scatto dalla sedia. La credenza era ricoperta di vasellame e scodelle, piatti con esotici paesaggi blu, tazze e tazzine da tè.
Il sarto attraversò la cucina, e si fermò accanto alla credenza senza far rumore, ascoltando e osservando da dietro gli occhiali. Di nuovo, da sotto una tazza da tè, arrivarono quegli strani rumorini…
Tic toc, tic toc, tic toc tic!
Davvero singolare,” disse il sarto di Gloucester, e sollevò la tazza da tè che era capovolta.
Ne sbucò fuori una vivace topina, che fece una riverenza al sarto! Poi saltò giù dalla credenza, e via sotto il pannello di legno.


Il sarto andò a sedersi di nuovo accanto al caminetto borbottando tra sé e sé:
Per il panciotto ho tagliato una bella seta color pesca – ricamata a telaio con boccioli di rose in filo di seta. Avrò fatto bene ad affidare i miei ultimi quattro soldi a Simpkin? Ventuno asole di filo color ciliegia!”
Ma improvvisamente, dalla credenza arrivarono atri rumorini:
Tic toc, tic toc, tic toc tic!
Ne spuntò fuori un compito topino, che fece un inchino al sarto!

E allora da tutta la credenza arrivò un coro di piccoli ticchettii, che risuonavano tutti insieme, e rispondevano l'uno all'altro, come i tarli-orologio nei vecchi scuri di legno di una finestra;
Tic toc, tic toc, Tic toc tic!
E dalle tazze da tè e dalle ciotole e dalle bacinelle, sbucarono molti altri topolini che saltarono giù dalla credenza e si infilarono sotto il rivestimento di legno.
Il sarto si sedette di nuovo accanto al fuoco, lamentandosi: “Ventuno asole di seta color ciliegia! E tutto deve essere pronto per sabato a mezzogiorno, e siamo a giovedì sera. Avrò fatto bene a lasciare andare i topi, che senza dubbio appartengono a Simpkin? Ahimè, sono rovinato, perché non ho più filo!”
I topolini uscirono di nuovo fuori per ascoltare il sarto, e presero nota del modello di quella splendida giacca. Parlottarono fra di loro della fodera di taffettà e delle mantelline per topolini.
Poi improvvisamente corsero tutti via giù per il cunicolo dietro il rivestimento di legno, squittendo e chiamandosi l'un l'altro mentre correvano di casa in casa, e nella cucina del sarto non era rimasto nemmeno un topo quando Simpkin ritornò con la brocca di latte.
Simpkin aprì la porta e balzò dentro, con un furioso “Grrrrmiao!” come fanno i gatti quando sono contrariati: perché odiava la neve e c'era neve nelle sue orecchie e neve nel suo collare e lungo la schiena. Posò la pagnotta di pane e le salsicce sulla credenza, e annusò l'aria.

Simpkin,” disse il sarto, “dov'è il mio filo?”
Ma Simpkin posò la scodella di latte sulla credenza e guardò con sospetto le tazze da tè.
Voleva cenare con un bel topolino grasso!
Simpkin,” disse il sarto, “dov'è il mio FILO?”
Ma Simpkin nascose in gran segreto un pacchettino nella teiera, e soffiò e ringhiò contro il sarto, e se Simpkin fosse stato capace di parlare, avrebbe voluto chiedergli: “Dov'è il mio TOPO?”
Ahimè, sono rovinato!” disse il sarto di Gloucester, e se ne andò tristemente a letto.
Simpkin trascorse la notte cercando e rovistando per tutta la cucina, spiando negli armadietti e sotto i pannelli di legno, e nella teiera dove aveva nascosto il filo, ma non gli riuscì di trovare nemmeno un topo!
Ogni volta che il sarto borbottava e parlava nel sonno, Simpkin diceva “Miao-grrrrr!” e faceva orribili versi, come sono soliti fare i gatti di notte.
Perché quel povero sarto aveva un gran febbrone, e si agitava e si rigirava nel suo letto a baldacchino, e nel sonno continuava a ripetere: “E' finito il filo! E' finito il filo!”
Stette male per tutto quel giorno e anche quello seguente, e cosa ne sarebbe stato della giacca color ciliegia? Nel negozio del sarto a Westgate Street la seta ricamata e il raso erano appoggiati sul tavolo accuratamente tagliati – con ben ventuno asole – e chi avrebbe potuto cucirli quando la finestra era sbarrata e la porta ben serrata?
Ma tutto ciò non era di ostacolo ai topolini marrone, loro potevano entrare e uscire da tutte le case di Gloucester senza chiavi!



Per strada le persone andavano al mercato trascinando i piedi nella neve per comprare le loro oche e tacchini, e portare al forno le loro torte natalizie, ma non ci sarebbe stato nessun pranzo di Natale per Simpkin e il povero vecchio sarto di Glocester.
Il sarto rimase malato a letto per tre giorni e tre notti, e poi arrivò la vigilia di Natale, ed era notte alta. La luna si levò sopra i tetti e i camini, e guardò giù sopra l'arco che conduceva a College Court. Alle finestre non c'erano luci, e dalle case non si levava alcun suono, tutta la città di Gloucester dormiva profondamente sotto la neve.
E Simpkin voleva ancora il suo topo, e miagolava a fianco al letto a baldacchino.
Ma è cosa ormai risaputa che tutti gli animali possono parlare, nella notte tra la vigilia di Natale e l'alba del giorno di Natale (anche se sono pochissime le persone che possono sentirli, o capire quello che dicono).
Quando l'orologio della cattedrale suonò la mezzanotte ci fu un richiamo – come un'eco dei rintocchi delle campane – e Simpkin lo sentì e uscì dalla casa del sarto e iniziò a vagare nella neve.

Dai tetti e dagli abbaini e dalle vecchie case di legno di Gloucester giunsero migliaia di allegre voci che cantavano vecchi canti natalizi – tutte le vecchie canzoni che avevo già sentito e alcune che non conoscevo, come quella delle campane di Whittington.
Primo fra tutti, il gallo cantò a squarciagola: “Madama, alzati, e inforna le tue torte!”
"Oh, dilly, dilly, dilly!" sospirò Simpkin.
E adesso in una soffitta c'erano luci e suoni e balli, mentre i gatti si radunavano in strada.
"Hey, diddle, diddle, il gatto e il violino! Tutti i gatti di Gloucester – eccetto me,” disse Simpkin.
Sotto i cornicioni di legno le starne e i passeri cantavano di torte natalizie, le taccole del campanile della cattedrale si svegliarono, e anche se era mezzanotte i tordi e i pettirossi si misero a cantare, l'aria era piena di cinguettii melodiosi.
Ma era tutto piuttosto irritante per il povero Simpkin!
In particolare era seccato causa di alcune vocine stridule che provenivano da dietro una grata di legno. Penso che fossero pipistrelli, perché di solito hanno delle vocine molto flebili – specialmente nelle notti di gelo, quando parlano durante il sonno, come il sarto di Gloucester.


Bzzz, ronzò il calabrone, mmm ronzò l'ape d'oro,
Bzzz e mmm fecero in coro, e noi con loro!


E Simpkin se ne andò via scuotendo le orecchie come se avesse un'ape nel berretto.

Dalla bottega del sarto a Westgate arrivava un fascio di luce e quando Simpkin si arrampicò per sbirciare dalla finestra, dentro era pieno di candele. C'era un taglia-taglia di forbici e un fru-fru di fili, e voci di topolini che cantavano allegramente in coro:


Ventiquattro impavidi sarti 
Andarono a caccia di una lumaca, 
Ma della codina scura 
Ebbero tutti tanta paura, 
Quella allora s'infuriò 
E lunghe corna sfoderò, 
Correte sarti, correte, o sarete tutti infilzati!


Poi, senza interrompersi, le vocine dei topi ripresero a cantare:

Vaglia l'orzo, macina la farina 
Ubbidisci alla signora, 
 Metti tutto in una castagna 
E ce lo lasci per un'ora.


Miao! Miao!” li interruppe Simpkin, e graffiò alla porta. Ma la chiave era sotto il cuscino del sarto, e non poté entrare.
I topolini risero di lui, e si misero a cantare un altro motivetto:

Tre topolini intorno al tavolo stavan filando,
La gattina da dietro la porta li stava spiando,
Che cosa fate, miei cari signori?
Giacche da uomo con cuori e con fiori.
Posso aiutarvi a tagliar ciò che resta?
Oh, no, madama la gatta, se entri ci stacchi la testa!


Miao! Miao!” gridò Simpkin. “Hey diddle dinketty?" risposero i topolini:

Hey diddle dinketty, poppetty pet! 
I mercanti di Londra hanno abiti scarlatti; 
Seta nel colletto e oro nei polsini, 
Così allegramente marciano i damerini.


Facevano ticchettare i loro ditali a tempo di musica, ma a Simpkin non piaceva nessuna di quelle canzoni; soffiò e miagolò alla porta della bottega.
E allora ho comprato 
Una scodella e una scodelletta, 
Una tazza e una tazzina, 
E tutto per un soldino-

e sulla credenza della cucina!” aggiunsero i dispettosi topolini.
Miao! Frrr, frrr!” protestò Simpkin sulla finestra del davanzale, mentre dentro i topolini balzarono in piedi e iniziarono a squittire tutti insieme: “E' finito il filo! E' finito il filo!” Poi sbarrarono gli scuri della finestra e chiusero fuori Simpkin.
Ma attraverso le fessure degli scuri poteva ancora sentire il ticchettio dei ditali, e le vocine dei topolini che cantavano:
E' finito il filo! E' finito il filo!”

Simpkin venne via dal negozio e se ne andò a casa, immerso nei suoi pensieri. Trovò il povero vecchio sarto senza febbre, che dormiva tranquillamente.
Allora Simpkin, in punta di piedi, andò a prendere un pacchettino di seta nella teiera, e lo osservò al chiaro di luna, e si vergognò della sua cattiveria ripensando a quei buoni topolini!
Quando al mattino il sarto si svegliò, la prima cosa che vide sulla sua trapunta, fu una matassa di filo di seta color ciliegia, e accanto al letto c'era Simpkin tutto dispiaciuto!

Ahimè, sono ridotto uno straccio,” disse il sarto di Gloucester, “ma ho il mio filo!”
Il sole brillava sulla neve quando il sarto si alzò dal letto e si vestì, poi uscì in strada con Simpkin che gli correva davanti.
Le starne fischiavano sui comignoli, e i tordi e i pettirossi cantavano, ma erano i loro soliti cinguettii, non le filastrocche che avevano cantato nella notte.
Ahimè,” disse il sarto, “ho il mio filo, ma non ho più le forze, né il tempo, per cucire anche una sola asola, perché è il giorno di Natale! Per mezzogiorno il sindaco di Gloucester si sarà sposato – e dov'è la mia giacca color ciliegia?”
Con la chiave aprì la porta del suo piccolo negozio a Westgate Street, e Simpkin corse dentro, come fanno i gatti quando cercano qualcosa.
Ma non c'era nessuno! Non uno dei piccoli topi marrone!
Le tavole del pavimento erano state spazzate accuratamente, i piccoli spezzoni di filo e i piccoli ritagli di seta erano stai messi via e a terra non c'era più niente.
Ma su tavolo – il sarto gridò per la gioia – là, dove aveva lasciato i pezzi della giacca che era riuscito solo a tagliare – là c'era la più meravigliosa giacca e il più meraviglioso panciotto di seta ricamato che fossero mai stati indossati da un sindaco di Gloucester.

Sui risvolti della giacca c'erano rose e pansè e il panciotto era lavorato con papaveri e fiordalisi.

Era stato fatto tutto ad eccezione di una sola asola color ciliegia, e dove mancava l'asola era stato appuntato un pezzetto di carta con queste parole – a caratteri minuscoli:
E' FINITO IL FILO
E da quel momento iniziò la fortuna del sarto di Gloucester, che recuperò la sua salute e diventò un uomo ricco.


FINE








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