Beatrix
Potter (1866
–1943) è
considerata
la più famosa autrice e illustratrice di libri per bambini del
secolo scorso. Le storie di
Peter Coniglio
e dei suoi amici sono state tradotte in moltissime lingue, tra cui
perfino il latino, e ristampate più di cento volte nell'arco degli
ottanta
anni
circa trascorsi dalla prima pubblicazione.
“Il
Sarto di Gloucester” (TheTailor of Gloucester) era,
tra quelli da lei scritti, il libro che preferiva. Ascoltò per la
prima volta la storia vera su cui il racconto si basa, durante una
visita a sua cugina, Caroline Hutton, la quale viveva proprio nelle
vicinanze di Gloucester.
Il
racconto
si
ispira
ad
una vicenda
accaduta davvero ad un sarto che, lasciato il lavoro incompiuto il
venerdì, lo aveva poi trovato pronto il lunedì a parte un’asola
su cui era stato
appuntato
un bigliettino con la
scritta
'è finito il filo.'
Il
sarto cercò di sfruttare la vicenda per fare pubblicità al suo
negozio, dove gli abiti 'erano cuciti dalle fate.' Nella
realtà il lavoro era stato completato dai suoi
aiutanti.
Per
Beatrix Potter, che
amava tanto gli animali da farne gli eroi delle sue fiabe, fu
naturale sostituire le fate con 'topolini marroni,'
e
immaginare
che nella vigilia di Natale agli animali venisse
concesso di poter parlare e
che i topolini cucissero
al ritmo di allegre filastrocche appartenenti
al
folklore inglese.
La
fiaba fu scritta nel 1901, come strenna natalizia per la piccola
Freda, la figlia
della sua governante Annie Carter, e poi pubblicato nel 1903,
arricchita
da splendide illustrazioni nel tipico stile della Potter.
Curisità:
Oggi
la casa del sarto è diventata un museo dedicato a Beatrix Potter,
dove è possibile acquistare souvenir ispirati ai suoi
personaggi.
Il sarto di Gloucester
di
BEATRIX POTTER
Autrice de
"Il racconto di Peter Rconiglio,"
etc
1903
M’accollerò,
costi quello che costi,
la
spesa d’uno specchio.
(Riccardo
III, atto 1, scena
2)
siccome adori le fiabe e sei stata male, ne ho scritta una solo per te – una storia nuova che nessuno ha mai letto.
E la cosa più strana è che l'ho ascoltata nel Gloucesteshire, ed è vera, almeno per quel che riguarda il sarto, il panciotto ed
“E' finito il filo”
Natale,
1901
Al
tempo delle spade e delle parrucche e delle
lunghe giacche dai
grandi risvolti
fiorati
- quando
gli uomini indossavano gale
e panciotti di seta e taffettà orlati di pizzo dorato – nella
città di Gloucester viveva un
sarto.
Dalle
prime luci dell'alba fino a sera sedeva a gambe incrociate su di un
tavolo vicino alla finestra di un negozietto a Westgate street.
E
finché c'era luce, cuciva e tagliava tutto il giorno, mettendo
insieme i pezzi di lucida seta e broccato e pompadour; le stoffe
avevano strani nomi, e costavano tanto ai tempi del sarto di
Gloucester.
Ma
sebbene cucisse la seta più fine per i suoi concittadini, lui invece
era tanto, tanto povero – un ometto occhialuto, con il viso
sparuto, vecchie dita rattrappite, e poveri abiti logori.
Tagliava
le giacche senza sprecare niente, seguendo il disegno dei suoi
tessuti ricamati; gli avanzi erano ridotti al minimo e i ritagli
sparsi sul tavolo erano “Troppo piccoli per farci qualcosa, se non
panciotti per i topi,” diceva il sarto.
In
una gelida giornata prossima al Natale, il sarto iniziò a
confezionare una giacca – una giacca di seta damascata color
ciliegia con rose e viole, e un panciotto di seta color crema, orlato
di trine e ciniglia di lana verde – per il sindaco di Gloucester.
Il
sarto lavorava e lavorava, e intanto parlava tra sé e sé. Misurò
la seta, la girò e la rigirò e la modellò con le forbici; il
tavolo era ricoperto di ritagli color ciliegia.
“Sono
troppo piccoli, in più sono tagliati di sbieco; sono troppo piccoli;
mantelline per topi e nastri per cuffie! per topi!” disse il sarto
di Gloucester.
Quando
i fiocchi di neve ebbero ricoperto i vetri della finestra impedendo
alla luce di entrare, il sarto aveva ormai terminato la sua giornata
di lavoro e i pezzi di seta e di raso che aveva tagliato ricoprivano
tutto il tavolo.
C'erano
dodici pezzi per la giacca e quattro pezzi per il panciotto, c'erano
poi i risvolti delle tasche e dei polsini, e i bottoni tutti in fila.
Per la fodera della giacca c'era del bel taffetà di seta gialla, e
per le asole del panciotto, c'era del filo color ciliegia. E tutto
era pronto per cucire insieme i pezzi il giorno seguente, tutto
misurato e sufficiente - eccetto il fatto che mancava un solo
gomitolo di filo di seta color ciliegia.
Il
sarto uscì dal suo negozio che era sera, di notte non dormiva lì;
chiuse la finestra e serrò la porta e portò via la chiave. Lì
dentro non ci dormiva nessuno di notte se non topolini color marrone
che per entrare ed uscire non avevano bisogno della chiave.
Perché
dietro i pannelli di legno di tutte le vecchie case di Gloucester, ci
sono piccole scale per topi e piccole botole segrete, e i topi
corrono di casa in casa dentro questi lunghi e stretti passaggi, così
possono attraversare tutta la città senza andare per strada.
Ma
il sarto uscì dal suo negozio e si trascinò stancamente verso casa
sotto la neve. Viveva nei pressi di College Court, vicino all'arco
che conduce a College Green, e sebbene la casa non fosse grande, il
sarto era così povero che aveva affittato solo la cucina.
Viveva
da solo con il suo gatto, si chiamava Simpkin.
Dovete
sapere che durante il giorno, quando il sarto era a lavoro, Simpkin
aveva la casa tutta per sé; anche a lui piacevano i topi, ma non gli
regalava pezzi di seta per i loro cappotti!
“Miao?”
disse il gatto quando il sarto aprì la porta. “Miao?”
Il
sarto rispose, “Simpkin, stiamo per fare la nostra fortuna, ma mi
sento uno straccio. Prendi questa moneta da quattro soldi (che oggi
noi chiamiamo quattropence) e Simpkin, porta con te una brocca di
porcellana; compra un soldo di pane, un soldo di latte e un soldo di
salsicce. E oh, Simpkin, con l'ultimo soldo comprami del filo di seta
color ciliegia. Ma non perdere l'ultimo soldo del quattropence,
Simpkin, o sono rovinato e ridotto al lumicino, perché E' FINITO IL
FILO.”
Allora
Simpkin ripetè, “Miao?” e prese la brocca e il quattropence e
uscì nel buio.
Il
sarto era molto stanco e iniziava a star male. Si sedette accanto al
focolare e parlò tra sé e sé di quella splendida giacca.
“Farò
la mia fortuna – senza dubbio – il sindaco di Gloucester si
sposerà il giorno di Natale, e ha ordinato una giacca ed un
panciotto ricamato - foderato di taffettà giallo – e il taffettà
è più che sufficiente; e i ritagli di stoffa sono così piccoli che
ci puoi fare solo mantelline per topi...”
Tip
tap, tip tap, tip tap tip!
“Cosa
può essere?” disse il sarto di Gloucester alzandosi di scatto
dalla sedia. La credenza era ricoperta di vasellame e scodelle,
piatti con esotici paesaggi blu, tazze e tazzine da tè.
Il
sarto attraversò la cucina, e si fermò accanto alla credenza senza
far rumore, ascoltando e osservando da dietro gli occhiali. Di nuovo,
da sotto una tazza da tè, arrivarono quegli strani rumorini…
Tic
toc, tic toc, tic toc tic!
“Davvero
singolare,” disse il sarto
di Gloucester, e sollevò la tazza da tè che era capovolta.
Ne
sbucò fuori una vivace topina, che fece una riverenza al sarto! Poi
saltò giù dalla credenza, e via sotto il pannello di legno.
Il
sarto andò a sedersi di nuovo accanto al caminetto borbottando tra
sé e sé:
“Per
il panciotto ho tagliato una bella seta color pesca – ricamata a
telaio con boccioli di rose in filo di seta. Avrò fatto bene ad
affidare i miei ultimi quattro soldi a Simpkin? Ventuno asole di filo
color ciliegia!”
Ma
improvvisamente, dalla credenza arrivarono atri rumorini:
Tic
toc, tic toc, tic toc tic!
E
allora da tutta la credenza arrivò un coro di piccoli ticchettii,
che risuonavano tutti insieme, e rispondevano l'uno all'altro, come
i tarli-orologio nei vecchi scuri di legno di una finestra;
Tic
toc, tic toc, Tic toc tic!
E
dalle tazze da tè e dalle ciotole e dalle bacinelle, sbucarono molti
altri topolini che saltarono giù dalla credenza e si infilarono
sotto il rivestimento di legno.
Il
sarto si sedette di nuovo accanto al fuoco, lamentandosi: “Ventuno
asole di seta color ciliegia! E tutto deve essere pronto per sabato a
mezzogiorno, e siamo a giovedì sera. Avrò fatto bene a lasciare
andare i topi, che senza dubbio appartengono a Simpkin? Ahimè, sono
rovinato, perché non ho più filo!”
I
topolini uscirono di nuovo fuori per ascoltare il sarto, e presero
nota del modello di quella splendida giacca. Parlottarono fra di loro
della fodera di taffettà e delle mantelline per topolini.
Poi
improvvisamente corsero tutti via giù per il cunicolo dietro il
rivestimento di legno, squittendo e chiamandosi l'un l'altro mentre
correvano di casa in casa, e nella cucina del sarto non era rimasto
nemmeno un topo quando Simpkin ritornò con la brocca di latte.
Simpkin
aprì la porta e balzò dentro, con un furioso “Grrrrmiao!” come
fanno i gatti quando sono contrariati: perché odiava la neve e
c'era neve nelle sue orecchie e neve nel suo collare e lungo la
schiena. Posò la pagnotta di pane e le salsicce sulla credenza, e
annusò l'aria.
“Simpkin,”
disse il sarto, “dov'è il mio filo?”
Ma
Simpkin posò la scodella di latte sulla credenza e guardò con
sospetto le tazze da tè.
Voleva
cenare con un bel topolino grasso!
“Simpkin,”
disse il sarto, “dov'è il mio FILO?”
Ma
Simpkin nascose in gran segreto un pacchettino nella teiera, e soffiò
e ringhiò contro il sarto, e se Simpkin fosse stato capace di
parlare, avrebbe voluto chiedergli: “Dov'è il mio TOPO?”
“Ahimè,
sono rovinato!” disse il sarto di Gloucester, e se ne andò
tristemente a letto.
Simpkin
trascorse la notte cercando e rovistando per tutta la cucina, spiando
negli armadietti e sotto i pannelli di legno, e nella teiera dove
aveva nascosto il filo, ma non gli riuscì di trovare nemmeno un
topo!
Ogni
volta che il sarto borbottava e parlava nel sonno, Simpkin diceva
“Miao-grrrrr!” e faceva orribili versi, come sono soliti fare i
gatti di notte.
Perché
quel povero sarto aveva un gran febbrone, e si agitava e si rigirava
nel suo letto a baldacchino, e nel sonno continuava a ripetere: “E'
finito il filo! E' finito il filo!”
Stette
male per tutto quel giorno e anche quello seguente, e cosa ne sarebbe
stato della giacca color ciliegia? Nel negozio del sarto a Westgate
Street la seta ricamata e il raso erano appoggiati sul tavolo
accuratamente tagliati – con ben ventuno asole – e chi avrebbe
potuto cucirli quando la finestra era sbarrata e la porta ben
serrata?
Ma
tutto ciò non era di ostacolo ai topolini marrone, loro potevano
entrare e uscire da tutte le case di Gloucester senza chiavi!
Per
strada le persone andavano al mercato trascinando i piedi nella neve
per comprare le loro oche e tacchini, e portare al forno le loro
torte natalizie, ma non ci sarebbe stato nessun pranzo di Natale per
Simpkin e il povero vecchio sarto di Glocester.
Il
sarto rimase malato a letto per tre giorni e tre notti, e poi arrivò
la vigilia di Natale, ed era notte alta. La luna si levò sopra i
tetti e i camini, e guardò giù sopra l'arco che conduceva a College
Court. Alle finestre non c'erano luci, e dalle case non si levava
alcun suono, tutta la città di Gloucester dormiva profondamente
sotto la neve.
E
Simpkin voleva ancora il suo topo, e miagolava a fianco al letto a
baldacchino.
Ma
è cosa ormai risaputa che tutti gli animali possono parlare, nella
notte tra la vigilia di Natale e l'alba del giorno di Natale (anche
se sono pochissime le persone che possono sentirli, o capire quello
che dicono).
Quando
l'orologio della cattedrale suonò la mezzanotte ci fu un richiamo –
come un'eco dei rintocchi delle campane – e Simpkin lo sentì e
uscì dalla casa del sarto e iniziò a vagare nella neve.
Dai
tetti e dagli abbaini e dalle vecchie case di legno di Gloucester
giunsero migliaia di allegre voci che cantavano vecchi canti natalizi
– tutte le vecchie canzoni che avevo già sentito e alcune che non
conoscevo, come quella
delle campane di Whittington.
Primo
fra tutti, il gallo cantò a squarciagola: “Madama, alzati, e
inforna le tue torte!”
“"Oh,
dilly, dilly, dilly!" sospirò Simpkin.
E
adesso in una soffitta c'erano luci e suoni e balli, mentre i gatti
si radunavano in strada.
"Hey,
diddle, diddle, il gatto e il violino! Tutti i gatti di
Gloucester – eccetto me,” disse Simpkin.
Sotto
i cornicioni di legno le starne e i passeri cantavano di torte
natalizie, le taccole del
campanile della cattedrale si svegliarono, e anche se era mezzanotte
i tordi e i pettirossi si misero a cantare, l'aria era piena di
cinguettii melodiosi.
Ma
era tutto piuttosto irritante per il povero Simpkin!
In
particolare era seccato causa di alcune vocine stridule che
provenivano da dietro una grata
di legno. Penso che fossero pipistrelli, perché di solito hanno
delle vocine molto flebili – specialmente nelle notti di gelo,
quando parlano durante il sonno, come il sarto di Gloucester.
Bzzz,
ronzò il calabrone, mmm ronzò l'ape d'oro,
Bzzz
e mmm fecero in coro, e noi con loro!
Dalla
bottega del sarto a Westgate arrivava un fascio di luce e quando
Simpkin si arrampicò per sbirciare dalla finestra, dentro era pieno
di candele. C'era un taglia-taglia di forbici e un fru-fru di fili, e
voci di topolini che cantavano allegramente in coro:
Ventiquattro
impavidi sarti
Andarono a caccia di una lumaca,
Ma della codina scura
Ebbero tutti tanta paura,
Quella allora s'infuriò
E lunghe corna sfoderò,
Correte sarti, correte, o sarete tutti infilzati!
Andarono a caccia di una lumaca,
Ma della codina scura
Ebbero tutti tanta paura,
Quella allora s'infuriò
E lunghe corna sfoderò,
Correte sarti, correte, o sarete tutti infilzati!
Vaglia
l'orzo, macina la farina
Ubbidisci alla signora,
Metti tutto in una castagna
E ce lo lasci per un'ora.
Ubbidisci alla signora,
Metti tutto in una castagna
E ce lo lasci per un'ora.
“Miao!
Miao!” li interruppe Simpkin, e graffiò alla porta. Ma la chiave
era sotto il cuscino del sarto, e non poté entrare.
I
topolini risero di lui, e si misero a cantare un altro motivetto:
Tre
topolini intorno al tavolo stavan filando,
La
gattina da dietro la porta li stava spiando,
Che
cosa fate, miei cari signori?
Giacche
da uomo con cuori e con fiori.
Posso
aiutarvi a tagliar ciò che resta?
Oh,
no, madama la gatta, se entri ci stacchi la testa!
Hey
diddle dinketty, poppetty pet!
I mercanti di Londra hanno abiti scarlatti;
Seta nel colletto e oro nei polsini,
Così allegramente marciano i damerini.
I mercanti di Londra hanno abiti scarlatti;
Seta nel colletto e oro nei polsini,
Così allegramente marciano i damerini.
Facevano
ticchettare i loro ditali a tempo di musica, ma a Simpkin non piaceva
nessuna di quelle canzoni; soffiò e miagolò alla porta della
bottega.
E
allora ho comprato Una scodella e una scodelletta,
Una tazza e una tazzina,
E tutto per un soldino-
“e sulla credenza della cucina!” aggiunsero i dispettosi topolini.
“Miao!
Frrr, frrr!” protestò Simpkin sulla finestra del davanzale, mentre
dentro i topolini balzarono in piedi e iniziarono a squittire tutti
insieme: “E' finito il filo! E' finito il filo!” Poi sbarrarono
gli scuri della finestra e chiusero fuori Simpkin.
Ma
attraverso le fessure degli scuri poteva ancora sentire il ticchettio
dei ditali, e le vocine dei topolini che cantavano:
Simpkin
venne via dal negozio e se ne andò a casa, immerso nei suoi
pensieri. Trovò il povero vecchio sarto senza febbre, che dormiva
tranquillamente.
Allora
Simpkin, in punta di piedi, andò a prendere un pacchettino di seta
nella teiera, e lo osservò al chiaro di luna, e si vergognò della
sua cattiveria ripensando a quei buoni topolini!
Quando
al mattino il sarto si svegliò, la prima cosa che vide sulla sua
trapunta, fu una matassa di filo di seta color ciliegia, e accanto al
letto c'era Simpkin tutto dispiaciuto!
“Ahimè,
sono ridotto uno straccio,” disse il sarto di Gloucester, “ma ho
il mio filo!”
Il
sole brillava sulla neve quando il sarto si alzò dal letto e si
vestì, poi uscì in strada con Simpkin che gli correva davanti.
Le
starne fischiavano sui comignoli, e i tordi e i pettirossi cantavano,
ma erano i loro soliti cinguettii, non le filastrocche che avevano
cantato nella notte.
“Ahimè,”
disse il sarto, “ho il mio filo, ma non ho più le forze, né il
tempo, per cucire anche una sola asola, perché è il giorno di
Natale! Per mezzogiorno il sindaco di Gloucester si sarà sposato –
e dov'è la mia giacca color ciliegia?”
Con
la chiave aprì la porta del suo piccolo negozio a Westgate Street, e
Simpkin corse dentro, come fanno i gatti quando cercano qualcosa.
Ma
non c'era nessuno! Non uno dei piccoli topi marrone!
Le
tavole del pavimento erano state spazzate accuratamente, i piccoli
spezzoni di filo e i piccoli ritagli di seta erano stai messi via e a
terra non c'era più niente.
Ma
su tavolo – il sarto gridò per la gioia – là, dove aveva
lasciato i pezzi della giacca che era riuscito solo a tagliare – là
c'era la più meravigliosa giacca e il più meraviglioso panciotto di
seta ricamato che fossero mai stati indossati da un sindaco di
Gloucester.
Sui
risvolti della giacca c'erano rose e pansè e il panciotto era
lavorato con papaveri e fiordalisi.
Era
stato fatto tutto ad eccezione di una sola asola color ciliegia, e
dove mancava l'asola era stato appuntato un pezzetto di carta con
queste parole – a caratteri minuscoli:
E'
FINITO IL FILO
E
da quel momento iniziò la fortuna del sarto di Gloucester, che recuperò
la sua salute e diventò un uomo ricco.
FINE
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