giovedì 2 agosto 2018

Peter Klaus



Dolce dormir...





Peter Klaus, il guardiano di capre (Peter Klaus, der Ziegenhirt) è il racconto a cui Washington Irving si ispirò per scrivere Rip Van Wikle. La storia appartiene al folklore tedesco e fu raccolta e trascritta da Johann Karl Christoph Nachtigal (1753 – 1819) meglio conosciuto con lo pseudonimo di Otmar. Teologo protestante e filologo, sulla scia dei più famosi fratelli Grimm, si dedicò al recupero delle storie della tradizione tedesca. Nel 1800 pubblicò Volke-Sagen e nella prefazione precisa che “… non sono effusioni dell'immaginazione... Esse sono storie vere raccolte fra la gente con estrema cura, dal momento che stavano velocemente cadendo nell'oblio e qui vengono narrate con un linguaggio il più semplice e fedele possibile.”

 
La vicenda racconta l'incredibile avventura di un guardiano di capre, che per recuperare una capretta smarrita, si inoltra in una gola di montagna dove incontra dodici misteriosi e silenziosi cavalieri che giocano a bocce e bevono buon vino. A Peter viene ordinato di rimettere in piedi i birilli e lui, per rinfrancarsi dalla fatica, incomincia a bere vino fino ad addormentarsi. Quando si sveglia ritorna al suo villaggio per scoprire che sono trascorsi venti anni ed è ormai un vecchio. I suoi concittadini, dopo l'iniziale stupore, lo accolgono calorosamente.

La mia traduzione dall'inglese si basa sulla traduzione dal tedesco di Thomas Roscoe, TheGerman Romances, Londra 1837, in 4 volumi.



 

Peter Klaus, il guardiano di capre
di
Johann Karl Christoph Nachtigal, alias Otmar



Nel villaggio di Littendorf1, ai piedi di una montagna, viveva Peter Klaus, un guardiano di capre che pascolava le sue greggi sulle colline del Kyffhäuser2. Verso sera era solito lasciargli brucare l'erba in un prato circondato da un vecchio muro, da dove poteva passare in rassegna tutto il gregge.
Aveva notato che, per alcuni giorni, una delle sue capre più belle, quando arrivavano in questo luogo, spariva, e non tornava fino a notte tarda. 




Controllò l'animale più attentamente e, alla lunga, lo vide scivolare attraverso una spaccatura nel muro. Lo seguì e lo trovò in una caverna, intento a mangiare allegramente semi di avena che cadevano uno ad uno dal soffitto. Guardò in alto, e scosse la testa nel vedere quella pioggia di avena ma, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a scoprire niente altro. Da dove diavolo poteva venire? Dopo un po', sentì venire da sopra il nitrito e il calpestio di alcuni focosi cavalli e concluse che quell'avena doveva essere caduta dalle loro mangiatoie.

Così il capraio se ne stette lì a chiedersi cosa ci facessero dei cavalli in quella montagna desolata. D'un tratto arrivò lo stalliere e gli fece cenno con la mano di seguirlo. Peter obbedì e lo seguì su per alcuni gradini nella grotta che lo condussero ad un cortile murato e poi ad una conca circondata da pareti rocciose, nella quale una specie di luce crepuscolare penetrava tra i rami fronzuti degli alberi in cima allo strapiombo. Continuò a camminare finché giunse una radura pianeggiante ricoperta di fresca erba dove dodici vecchi cavalieri dall'espressione arcigna giocavano a birilli, senza profferir parola. La sua guida gli ordinò silenziosamente di rimettere su i birilli e poi se ne andò.

Peter obbedì tutto tremante, mentre, con occhiate furtive, osservava i giocatori, le cui lunghe barbe e i farsetti ricamati erano decisamente all'antica. Poco a poco, comunque, si fece più sfacciato, e guardò ogni cosa intorno a lui con sguardo sempre più fermo, in particolare, vedendo accanto a lui un boccale pieno di vino, il cui odore era eccellente, ne bevve un sorso. Si sentì rinato e, ogni volta che si sentiva affaticato per il troppo correre, si rivolgeva con rinnovato ardore all'inesauribile boccale, ricevendone ogni volta nuova forza. Ma alla lunga fu sopraffatto dal sonno.
Quando si risvegliò, si trovò ancora una volta nel prato recintato dove era solito custodire le sue capre. Si stropicciò gli occhi, ma non trovò né il cane né le capre e si stupì nel vedere a quale altezza era cresciuta l'erba e tutti quegli arbusti e alberi che non aveva mai notato prima in quel luogo. Scuotendo la testa, si incamminò lungo le strade e i sentieri che era solito percorrere tutti i giorni con il suo gregge, ma non riusci a trovare alcuna traccia delle sue capre. Davanti a sé vide la città di Sittendorf, e alla fine discese la collina con passo veloce, per chiedere lì notizie del suo gregge.
Le persone che incontrava andando al villaggio gli erano tutte sconosciute, erano vestite in modo diverso e parlavano in maniera diversa dai suoi vecchi vicini, quando poi gli chiese notizia delle sue capre, quelli lo guardarono stupiti, fissando insistentemente il suo mento. Senza volerlo, si portò la mano alla bocca e scoprì, con sua grande sorpresa, di avere una barba lunga almeno un palmo. Egli iniziò a sospettare che sia lui che il mondo intorno a lui fossero sotto incantesimo, e di sicuro riconobbe la montagna, da cui era appena disceso, come quella del Kyffhäuser, anche le case con i loro giardini e cortili gli erano ben note. Inoltre, alcuni ragazzi, alla domanda di alcuni viaggiatori, risposero che il nome del posto era: Sittendorf.
Scuotendo la testa, si inoltrò nel villaggio verso la sua capanna. La trovò in pessime condizioni e all'esterno era disteso uno sconosciuto che indossava uno sdrucito camicione da pastore e accanto a lui il suo vecchio cane, che ringhiò e gli mostrò i denti quando lo chiamò. Egli attraversò l'ingresso, che una volta era chiuso da una porta, e trovò che era tutto deserto e abbandonato, così, barcollando come un ubriaco, uscì dalla casa e chiamò la moglie e i figli per nome. Ma nessuno lo sentì e nessuno gli rispose.
Subito, una folla di donne e bambini si accalcò intorno all'uomo con la lunga barba canuta e gli chiesero: che cosa cercava? 




Gli sembrò così strano stare davanti a casa sua e chiedere di sua moglie o dei suoi figli, oppure di sé stesso che, per evitare di fare queste domande, pronunciò il primo nome che gli venne in mente, “Kurt Steffen!” La gente lo guardò senza parlare, finché una vecchia signora alla fine disse: “Negli ultimi dodici anni è stato a Sachsenburg, da cui, credo, oggi non sei arrivato.” “Velten Meier!” “Che Dio l'abbia in gloria!” gridò un'altra anziana donna appoggiata alla sua gruccia, “per questi ultimi quindici anni ha riposato in una casa che non lascerà più.”
Peter riconobbe in quelli che avevano parlato due dei suoi giovani vicini, che sembravano improvvisamente invecchiati, ma non aveva voglia di fare altre domande. Allora si fece strada tra la folla di curiosi una giovane e vivace donna, con in braccio un bimbo di un anno e per mano una ragazzina di circa quattro anni, tutti e tre erano proprio uguali alla moglie. “Come vi chiamate?” chiese Peter con tono sorpreso. “Maria.” “E vostro padre?” “Che riposi in pace! Peyer Klaus, sono ora venti anni da quando lo abbiamo cercato giorno e notte sul Kyffhäuser, da cui il suo gregge era tornato senza di lui, e io allora avevo solo sette anni.” Il guardiano di capre non riuscì a trattenesi più a lungo. “Sono Peter Klaus,” disse, “e nessun altro!” e prese in braccio il bambino di sua figlia. Tutte le persone presenti rimasero ammutolite per lo stupore, finché prima uno, poi un altro incominciò a dire: “Sì, è lui, è Peter Klaus! Bentornato, vicino! Dopo venti anni, bentornato!”
FINE


1 All'inizio della storia il villaggio si chiama Littendorf, ma alla fine della storia diventa Sittendorf.
2 La catena montuosa del Kyffhäuser si trova nella Germania centrale. Secondo un'antica leggenda, l'imperatore Federico Barbarossa, morto annegato nel 1190 durante la terza crociata, non sarebbe mai morto, ma giace addormentato in una camera segreta della montagna. Oggi vi si può ammirare un enorme monumento alto 81 metri, inaugurato nel 1871 per volere del Kaiser, in onore del Barbarossa e di Guglielmo I Hohenzollern. Da lontano spicca la figura di Guglielmo I a cavallo. Sotto di lui, nell’ampia nicchia di una roccia, vigila la statua di Federico Barbarossa, che dorme seduto su un trono di pietra.



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